del diritto autoriale e della ricerca (ottobre 2020)


ben ritrovati, in questo periodo scrivo, che vogliamo farci? 🤷‍♂️

Il tema di oggi è pernicioso per cui mi vedo costretto a partire con dei disclaimer prima di finire arso con lingua in giova:

disclaimer 1

Ciò che trovate di seguito ha la sola, mera, valenza di una interpretazione soggettiva.

Lungi da me impugnare verità universali o dare pareri sedicenti professionali, anzi se qualcuno più competente di me, mosso dal suo buon cuore, volesse segnalarmi inesattezze, imprecisioni o fare integrazioni sarò felice di aggiornare questo testo con le doverose correzioni.

disclaimer 2

L'obiettivo di questo testo (di tutti i miei testi in realtà) è quello di fornire informazioni e provare ad avvicinare le persone, farle dialogare.

La polarizzazione delle parti, qualsivoglia parte, è a mio avviso (fortunatamente non solo al mio) un male del nostro Zeitgeist ed è un male evitabile grazie a strumenti fantastici come il dialogo e soprattutto l’ascolto.

Disclaimer fatti, dunque si parta.

Per parlare di ciò di cui vi voglio parlare dobbiamo dichiarare le variabili (sì, come in c++) di modo da renderle ‘parti comuni’ ed ovviare così alla confusione di mele con pere e cachi mela con cachi alla vaniglia.

Nel nostro racconto ci sono delle belle variabili o parti se preferite, vediamole:

C’è l’autore, questa è facile, colui che crea.

Ad esempio è possibile essere l’autore di questo testo, scrivendolo, oppure essere autori de ‘il ponte di Rialto’ e bisogna chiamarsi Giovanni Antonio Canal ed aver a portata di mano una camera oscura, una buona dimestichezza con tele enormi ed essere stati vivi e vegeti nel 1730, si può essere autori di una fotografia scattata a casa, in studio o a zonzo. Oppure ancora si può essere autori di una musica, insomma, l’elenco è lungo ma voi che siete gente che bada al sodo avete già afferrato saldamente il bandolo.

C’è il soggetto, questa ancora è abbastanza facile.

il ponte di Rialto è il soggetto (principale, null’affatto esclusivo) del buon Antonio succitato, mia figlia è il soggetto di una fotografia del padre e le dinamiche di potere nell’ambito dell’incontro fotografico sono il soggetto di un laboratorio saltato causa covid o anche di un testo come questo. Mentre il soggetto della musica è sempre l'ammmore, è noto, giratela come volete, semper lì va a parare (sono ironico, si capisce vero?).

C’è l’immagine, questa è più ostica.

Nell’accezione in cui userò questa parola, l’immagine è quella cosa che mia figlia vede allo specchio facendo solo finta di lavarsi la faccia la mattina, più o meno come un gatto.

Ecco quella cosa che vede riflessa è la ‘sua’ immagine.

Badate bene che dico sua perché è proprio sua, sia per motivi fisici sia per motivi legali.

Quell’entità sfuggente che si riflette allo specchio perché dei fotoni, partendo dalla lampadina o dal sole, le rimbalzano addosso mentre io le intimo di sbrigarsi perché parte il pedibus, è ciò che chiamerò immagine. E a costo di risultar pedante lo ripeto: è sua.

C’è poi l’oggetto, sì lo so, potevo sforzarmi di più ma siate clementi, ho una certa.

L’oggetto è ciò che viene creato dall’autoreanche grazie al soggetto.

Antonio ha a disposizione il bel ponte di Rialto lì davanti a sé, fa lo schizzo a mano o in camera oscura e crea dapprima un disegno e più tardi una tela di due metri, ecco l’oggetto.

Se scatto una foto a mia figlia in bagno che si lava il viso come un gatto genero un oggetto che si chiama negativo impressionato o magari un file raw. Il primo ha una consistenza materica il secondo anche, ma in forma differente, mettiamo elettromagnetica, però sta di fatto che prima non-c’era e adesso c’è. Che cosa? l’oggetto.

C’è poi una entità ahinoi più metafisica che va sotto nome di transazione.

Ho capito, ho capito, calma, raccolgo le vostre rimostranze. Ammettiamolo, scelgo dei nomi discutibili ma sto definendo delle variabili suvvia, siate pazienti, mica sono un creativo!

La transazione è più tosta da afferrare, lo so. Se è una transazione economica si può misurare ed è facile, se è una transazione di competenze, intenzioni e sforzi mossi da unità di intenti...beh, arrivederci. Ma ci arriveremo, abbiate fede.

La transazione, quando è appunto a carattere economico, si porta sempre dietro o per meglio dire è sempre mossa da un committente, il quale guarda caso è anche l’ultima delle variabili che dichiarerò ed è, in un mondo capitalista, chiaramente, colui che paga. Facile no?

Molto bene, le variabili son fatte e non ne voglio più sapere!

Se ci sono dubbi sono lì, non scappano. Su su, proseguiamo che tempus fugit.

Dunque, siamo nel duemilaventi, le persone si incontrano e spesso fanno foto.

Nulla di strano fino a qui, vero? Un tempo esisteva il fotografo perché le persone non potevano farsi le foto, ma oggi, letteralmente in qualunque momento, possiamo produrne.

Ma sto lambendo un tema diverso, ancor più pernicioso di quel che voglio affrontare e dunque riporto subito la barra al centro.

Quando le persone fanno foto a caso, spesso fanno foto migliori di quando alcuni fotografi fanno dei set fotografici, ma a noi interessa poco, quello che ci interessa è che quando delle persone decidono di fare delle fotografie provando a trasferire in queste del valore autoriale (ad avercelo, s’intende) è auspicabile che riflettano su quello che stanno facendo.

Facciamo l’esempio capitalista che è il più semplice.

Un committente (ah, sentite che relax nell’usare la variabile) commissiona ad un autore, ad esempio, di realizzare un servizio fotografico sul Pirellone e sulla stazione centrale, via... crepi l’avarizia. Un servizio da far impallidire Gabriele Basilico (minuto di devozione e silenzio...) alla consegna degli oggetti o pochissimo tempo dopo (tipo 270 o 360 gg/lavorativi) gli verrà corrisposto un gruzzolo mica male di tot fiorini a fronte del gran lavoro svolto e della incalcolabile soddisfazione generata nel committente. Il tot transita (transazione economica) e il committente diventa una sorta di proprietario esclusivo di quel gran bel servizio realizzato in banco ottico 20x25. Facile no? Transita il tot e il proprietario delle immagini diventa il committente.

L’autore si gode il frutto dei suoi sacrifici alle Maldive, splash.

In realtà ho semplificato molto e non è la proprietà a passare ma il diritto d’uso esclusivo, ma vogliamoci bene ed accogliamo qualche semplificazione, suvvia.

Altro esempio semplice, una modella ha bisogno di un book, dato che l’agenzia le ha detto che non può farsi fare le foto da suo cugggino, il quale comunque ha una reflex più moderna e performante di tutti i professionisti con partita iva nel raggio di centoventinove chilometri, ma deve farsele fare dal fotografo dell'agenzia: la modella paga il fotografo, direttamente o indirettamente tramite l’agenzia, e si porta a casa le foto che le servono. Forse suo cugggino avrebbe fatto meglio o forse no, in questo caso mi spiace ma rimarrà un mistero.

Ancora una volta, transazione economica e passaggio dell’oggetto. Chi usa le foto? Lei o l’agenzia per lei. Resta aperta una variabile però, la sua immagine (mamma mia che meraviglia le variabili, vero?)

E’ sua! Non del fotografo, non dell’agenzia, è proprio sua, come quella di mia figlia.

Vero, infatti deve cedere i diritti d’utilizzo della stessa a chi userà l’immagine, se è lei direttamente ad usarla ok (se è libera da personalità multiple deve fare poco o nulla), se è invece l’agenzia ci sarà una liberatoria (notare bene che ho procrastinato sino ad ora lo sfoggio di questa perniciosissima, malcelata, ultimerrima variabile…)

Altro esempio, speculare, un fotografo (chii?!) ha bisogno di un modello per un editoriale che gli è stato commissionato e a sua volta pagherà il modello direttamente o tramite l’agenzia affinché questo presti i suoi servizi professionali. Transazione economica e le foto le usa il fotografo per il commissionato. E l’immagine del modello? E’ sua! Vero, infatti deve cedere i diritti d’utilizzo della stessa direttamente al fotografo o tramite l’agenzia.

Questo perché, le foto sono degli autori e l’immagine è dei legittimi proprietari, quelli che si guardano allo specchio. Ripetiamolo ancora, come mantra:

“la foto è dell’autore, l’immagine è del soggetto”

Guardate che talvolta vale anche per gli oggetti materici, magari non per il ponte di Rialto del buon Antonio ma provate voi a fotografare il prossimo iphone prima che esca senza avere i diritti dell’immagine. Mi sembra tutto chiaro, spando dell’ottimismo così, a man bassa.

In sintesi, il diritto d’uso dell’oggetto e/o dell’immagine viene scambiato a fronte di una transazione economica.

Ci sono delle eccezioni? Certo, ad esempio personaggi pubblici durante gli eventi pubblici.

Ma attenzione, la bella fanciulla che si sta facendo la passeggiata in via Dante guardando le vetrine non è un personaggio pubblico, così come non lo è il povero clochard che si ripara dal freddo e che non potete ma soprattutto non dovreste fotografare per vari buoni motivi. Ad esempio perchè è puerile fare il majolini, oppure ancora perché il cartier-bressonismo ha rotto i coglioni ma soprattutto perché non avete i diritti delle loro immagini quelle bite! (eh beh, è francese)

Veniamo al cuore del tema. L’incontro fotografico a transazione economica nulla o se preferite a titolo gratuito. La TAU Visual ha, da che ne ho memoria, proposto le liberatorie nelle due versioni. Sarà pur indicativo di un qualcosa, non trovate?

Abbiamo visto che quando c’è una transazione economica si può quantificare ciò che transita e che le foto, salvo differenti personali accordi fra le parti, le userà il committente.

Ma cosa transita in un incontro fotografico a valle del quale viene firmata una liberatoria a titolo gratuito e di chi sono poi gli oggetti (es. le foto) prodotti?

Suvvia, adesso con questo popò di variabili dispiegate dinanzi a voi qui sul tavolo, dovrebbe essere facile. Abbiamo seminato prima per raccogliere agevolmente i frutti ora.

Supponiamo dunque che due o più persone si incontrino spontaneamente per fare (sempre a titolo di esempio) della fotografia. Mettiamoci nei panni di una di queste.

E’ auspicabile che ci siano, fra queste persone, i seguenti elementi condivisi:

  • reciproca stima

vi piace il lavoro delle altre persone che incontrerete, indipendentemente dai ruoli. Magari le conoscete bene o anche solo le seguite da un po’ e avete chiesto e parlato di loro con amici, conoscenti e parenti. Questa forma di interesse vi suscita, nel tempo, della stima nell’accezione pura del termine.

Poi magari ci avete anche parlato direttamente e istintivamente confermate tale stima

  • consensualità

la stima non basta, si può anche stimare il lavoro di un autore o di un soggetto ma volerlo osservare da distanza. Se decidete di andarvici a sedere di fronte, parlarci e poi collaborarci, l’unica persona che dovrebbe avervi convinti siete voi stessi e nessun altro. La consensualità ha l'onere di venir da tutte le parti coinvolte ed ha anche la simpatica caratteristica di poter essere ritratta in un qualsiasi momento senza che le altre parti ne abbiano a male e vi dirò di più, non è neanche dovuta una spiegazione.

  • benessere

sì certo, un periodo di adattamento ha senso ci sia, ma poi, via via che passano i quarti d’ora, la sensazione di benessere è opportuno che le parti la percepiscano. Chi più chi meno, chi in un modo chi in un altro, ma sta di fatto che il disagio ha da andar sciogliendosi per cedere il posto al benessere. Una saltuaria e delicata ricerca di feedback è opportuna, quando non necessaria, durante tutto l’incontro.

Nello scenario e nei modi sopra esposti le persone possono, a mio avviso, incontrarsi.

E nell’incontro possono transitare valori e competenze che hanno più a che fare con la ricchezza dell’interazione e la crescita personale che con i fiorini. Tali bolle, nello spazio e nel tempo, danno la possibilità di portare avanti la propria, personalissima, ricerca. Mica solo quella dell’autore. Bensì quella di tutte le parti, di tutte le persone coinvolte. Una ricerca che rimane, costantemente, una libera scelta. E se fosse altrimenti verrebbe svuotata di senso.

E dunque quel che transita sono sì le competenze, di ognuno per il suo ruolo (che a mio avviso è molto meno definito di quanto le mie variabili vorrebbero) ma soprattutto l’esperienza. L’esperienza che deriva dall’incontro umano di soggetti con intenti e visioni convergenti e che giocano secondo le regole di stima, consenso e benessere.

E i risultati?

Gli oggetti frutto dell’incontro, siano essi foto, testi o video vanno fattualmente condivisi, vi è sì un proprietario ma i diritti diventano, a mio avviso, di tutte le parti coinvolte.

E’ diritto dell’autore scegliere secondo la sua sensibilità cosa fare uscire, perché banalmente vuole omettere i suoi errori tecnici o autoriali, ed è diritto dei soggetti apprezzare o meno i risultati, ma una volta prodotti, quei materiali, diventano della comunità e non sono trattenibili dall'autore. Diventano sia di quella comunità ristretta che li ha prodotti che, successivamente, di quella ben più ampia che li osserva.
Ed è opportuno esserne molto ben consapevoli.

Ed è con questa consapevolezza, unita a tutti i vostri personalissimi motivi, che dovreste muovervi, se lo desiderate, verso l’incontro fotografico.

La transazione auspicabile è la reciproca crescita.

A quel punto i soggetti firmino pure la liberatoria e gli autori pubblichino pure i risultati del lavoro condiviso, nella reciproca stima e fiducia, deliberando che sì:

“l’oggetto è dell’autore, l’immagine è del soggetto”

ma anche che:

“il soggetto cede l’immagine a tutte le parti e l’autore cede l’oggetto a tutte le parti”

Altrimenti, se qualcosa vi lascia perplessi, semplicemente, non fatelo.

Fate del modelling retribuito o dei commissionati di qualche natura che prevedano la transazione economica, la quale, come abbiamo visto può muoversi in direzioni diverse in funzione del committente, sì insomma, della domanda.

Esistono varie liberatorie, che autorizzano utilizzi parziali o completi, ma per i dettagli di queste vi rimanderei al sito della TAU Visual, che rappresenta sicuramente un ente più autorevole del sottoscritto.

Quello che volevo descrivere qui era la dinamica ed i moventi sui quali basare la ricerca fotografica indipendente. Volevo anche differenziarli dal contesto dei lavori commissionati.

Ai tempi di onlyfans e patreon (etc..) sembra essere possibile monetizzare le proprie, condivise, ricerche. Tant’è che taluni/e si organizzano e si strutturano al fine di diventare content creator su queste piattaforme. Mossi anche dai limiti delle censure, di cui abbiamo già parlato, ma soprattutto mossi dal motto pecunia non olet appunto e va benissimo così.

Ricordatevi però, vi prego, che il lavoro autoriale, nell’ambito della ricerca e dunque dell’assenza di transazione economica, ha diritto paritetico di essere monetizzato esattamente come l’autorizzazione all’uso della propria immagine.

Sono due lati della stessa medaglia e nient’affatto uno scontro fra guelfi e ghibellini.

E’ un risultato condiviso. Se riuscite a pagarvici le bollette, la retta universitaria, le scarpe o a diventare ricchi ben venga, ma autore e soggetti hanno il medesimo diritto di utilizzo.

Dal canto mio (ma è un sentire tutto personale e mai un giudizio verso altre differenti scelte),

non voglio avvalermi di questi strumenti di monetizzazione, per una serie di motivi che qui vi risparmierò.

Ritengo, come avrete compreso, che la ricerca tragga vantaggio dal rimanere scevra da transazione economica qualsivoglia. Detto in altro modo, che la transazione economica, a monte o a valle, snaturi i motivi dell’incontro. Un’opinione personale, vale uno, nulla di più.

Ritengo anche che avere una liberatoria in mano è sì legalmente necessario ma che è ancor più importante dialogare con le persone che incontriamo. Nel tempo possiamo scorgere i loro momenti di difficoltà o cambiamenti e rinunciare, se opportuno o se richiesto, a pubblicare una foto che potrebbe generare entropia nella vita delle altre persone.

Anche se avete il diritto di pubblicare, non avete il diritto di fare gli stronzi.

In questo senso il rapporto umano è molto più importante della vostra liberatoria.

D’altro canto, se arrivassimo agli incontri fotografici con la consapevolezza di ciò che desideriamo e al tempo stesso con la leggerezza di chi sa che ha dinanzi un interlocutore capace di ascoltare, potremmo provare, insieme, a fare ciò che ci piace, se ci piace, sapendo di essere un gruppo coeso a fronteggiare il petulante altrui giudizio.
Una pluralità e non dei singoli.

Questa sensazione di vicinanza umana, trovo ripaghi più di ogni doblone di Willy l’orbo.


Fatemi sapere se qualcosa è passato.

hug


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