Del paraculismo nell’analogico


So già a cosa state pensando: ma come, c’è la guerra, l’Italia si riscopre pacifista-interventista (perché amiamo gli ossimori), ci accorgiamo di aver tenuto i testicoli in mano negli ultimi quarant’anni al posto che renderci energeticamente autonomi (sia mai che il metano smetta di darti una mano), muoiono persone (civili e non, che è il vero dramma di ogni guerra) e tu te ne esci qui a parlare di analogico? Stai scherzando vero? Ma poi che titolo è? ‘Del paraculismo…’? Proprio tu che hai lanciato una fanzine che ha fra le regole base l’uso esclusivo di film per la selezione e pubblicazione delle immagini? 

Proviamo a rimanere leggeri, faceti.

Ora risponderò a tutto, giusto per provare a superare insieme questo tremendo momento storico e distrarci con temi altri, che lungi dall’essere superficiali, hanno quantomeno la caratteristica di essere tutt’altro che drammatici.

Chi mi conosce sà, e all’interno del collettivo ho sempre ripetuto, che la scelta dell’analogico è una scelta paracula. Intendiamoci sui termini. In ‘francese’ paraculo va significando quanto segue:


1) Omosessuale passivo; stendiamo un velo pietoso sul senso profondo di passivo e lasciamo amare le persone come meglio credono.

2) Persona scaltra e opportunista; e qui ci avviciniamo, solo che un rullino non è una persona, pur rimanendo, in questa tesi, paraculo di per sé.

3) Cerchiobottista; la mia preferita. 


Faccio un ulteriore premessa: la libertà autoriale si esprime, anche, attraverso la libera scelta del mezzo tecnico. Che scegliate di scattare con banco ottico, a telemetro, con l’ultima mirrorless con fantastilioni di pixel, con le compatte usa e getta o in medio formato digitale, almeno per me, va bene uguale fintanto che riuscite ad esprimere il vostro linguaggio.

Di mio, posso dire di usare tutto. 35mm, 120 in tutti i suoi bei formati (6:6, 6:7, 6:4.5, che poi è un 4/3), micro quattro terzi digitale, il singolo pollice, apsc, fullframe, quando me ne prestano una, medio formato digitale. Ho le mie preferenze certo, come l’FM con le AIs e la Merrill col suo bel foveon, ma in momenti diversi ho amato e usato cose diverse, dirò di più, anche nello stesso momento ho amato e usato cose molto diverse. Tutto ciò per dichiarare quanto nessun fondamentalismo mi pervada nella diatriba più meschina del mondo, quella anal-digit (traducibile anche come dito-ar-culo…è francese). Tuttavia mi preme ‘risignificare’ (questa parola è riemersa oggi e dovevo utilizzarla per forza) l’uso dell’analogico nel duemilaventidue.

Ed è indubbio, per me, quanto questa scelta sia intrisa di paraculismo e cerchiobottismo.

Partiamo dal secondo termine. L’analogico che vediamo in giro, nel 99% dei casi, lo vediamo su social e siti dell’internette (no, non è un errore) è dunque chiaro che o il negativo o la stampa positiva abbia subito (in un qualche momento precedente) un processo di scansione (dunque di digitalizzazione) ed ecco che, se vi fermate a pensarci solo un attimo, pensa, pensa, pensa …arriva? lo realizzate? Insomma un po’ come quelli che registrano i loro brani su garageband e poi ne fanno l’incisione su un vinile. Hanno vinto tutto o quasi, ecco. Per cui, se faccio tutta la trafila chimica e poi il mio materiale lo vedono sull’instagramme (no, non è un errore) come posso definirmi se non cerchiobottista? Un colpo al cerchio chimico ed uno alla botte digitale.

Guardate come ho liquidato elegantemente il tema senza parlare di algoritmi di conversione, matrici, DAC etc… tzè, oramai viaggio leggero come una piuma altro che “macigno” (cit.)

Poi veniamo al tema dell’opportunismo (definizione n°2 sopra). Guardate, dobbiamo proprio essere onesti, lo dobbiamo a noi stessi. Se troviamo la reflex di papà nel cassetto, spendiamo quelle due lire che servono per un rullino, lo carichiamo (perché siamo bravi/e) o ce lo facciamo caricare (un po' meno bravi/e), prendiamo l’amica del cuore, la portiamo al parco e la mettiamo in mutandine di pizzo con le margheritine in grembo, beh, quelle foto, proprio perché nate dalla collisione di fotoni su un 35mm, hanno un valore intrinseco più alto di quelle che sarebbero nate nella digitale regalata a natale da zio Piero. Eh si capisce! C’è il pathos, l’ansia, l’attesa e poi il look and feel anni settanta, dove lo mettiamo? E’ inutile che proviate a dissentire, l’analogico, di suo, solo perché tale è 'di più'! Più qualcosa, decidete voi che cosa. Per cui, se ammettiamo (e vi sfido a svincolarvi) quanto sopra, dobbiamo ammettere che quelle margheritine sul grembo non sono poi tutto, tutto, tutto merito nostro.

Mi si obietterà che però l’analogico è utile e importante dal punto di vista didattico, per la lentezza, la ricerca, la fotografia fatta con la testa ma allineata al cuore e al mirino e queste cazzate qua. Non se ne può più ed io dissento! Se volete fare della buona didattica prendete una vecchissima reflex digitale (oggi praticamente vintage), fatela lavorare in manuale, con un'ottica in manuale e producete solo file .jpg (così da dover pensare ad ogni settaggio prima di fare lo scatto, ivi inclusi i temi del colore). Ed ecco che avrete un processo di apprendimento a cicli molto più rapidi (produzione ed editing nel giro di poche ore/minuti), con i dati exif che vi aiutano nell’interpretazione degli errori (a posteriori) e con una spesa infinitesimale rispetto all’analogico. Un ventesimo dei tempi investiti nell’apprendimento, garantisco personalmente, e poi via verso le spiagge assolate dell’analogico con competenze della madonna (è francese). 

Poi ancora mi si obietterà: “ma tu non lo sai che la gamma dinamica delle digitali è molto più ampia di molte pellicole e dunque ci vuole il manico per scattare in analogico più che in digitale?”. La risposta sarà, sarà, saraaaaà (voglio proprio vedere chi coglie questa citazione) che parlando di tecnicismi ci si fa male. A parte il fatto che dipende da che sensore metti a paragone con che pellicola e soprattutto in quali particolari condizioni, ma poi, fare la conta degli EV a che vi serve se non stampate? Mah!

Ad ogni buon conto e tornando con i piedi sul pianeta terra (quello che abbiamo devastato per intenderci) è chiaro anche a mia figlia di undici anni che se sbagli un controluce su una pellicola sei un artista, se commetti lo stesso errore con una D6 sei un inetto. Così come se sbagli e fuocheggi lo sfondo al posto del soggetto su una pellicola sei un visionario che destabilizza l’osservatore riportandolo all’essenza (sì, di lavanda) mentre, se la sbagli con una mirrorless che fuocheggia con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, diventate ben due inetti, tu e l’AI. Ma soprattutto tu a causa dei soldi che hai speso in quel modo al posto che pagartici un viaggio.

Poi viene la scaltrezza. Un mio amico in università diceva sempre “se qualcuno ha già scritto del codice perché dovrei rifare il lavoro due volte? A cosa servirebbe altrimenti il Ctrl+C/Ctrl+V se non a risparmiare gran tempo?”

Per cui se la scansione del rullino analogico ci restituisce un file, di fatto pronto, sollevandoci dai tempi di post e facendoci anche fare la figura di quelli fighi che ‘scattano in analogico’.... beh, si vince due volte, non trovate?

E sia, diamo addosso a quelli che producono jpg in camera pre-settando tutto come piace a loro perché 'vogliono solo emulare le pellicole' e poi ci ritroviamo maestroni del filmico che guardando un file eterna di una x100v sbavano, oppure (ed è mia esperienza personale diretta) che guardano un file fatto dal foveon (direct light) in determinate condizioni e non sanno dire se è una scansione o meno.

Insomma, siamo alle solite, senza cultura e con le polarizzazioni non andiamo molto lontano.

E la cultura è si ciò che leggiamo, ascoltiamo, guardiamo, viviamo e che solo poi trasponiamo in fotografia secondo il nostro linguaggio, ma è altresì la competenza tecnica, lo ripeto, la c o m p e t e n z a t e c n i c a, che ci permette di maneggiare quel linguaggio (il nostro), si esprima esso su un sensore o su una pellicola, facendo delle scelte critiche.

Personali, consapevoli e critiche!

La parola magica qui è equilibrio fra le parti, le solite due parti, la cultura umanista e quella (tecnico-)scientifica.

Altrimenti facciamo come quelli che vanno alle jam session jazz avendo suonato solo in chiesa e si danno di gomito pensando che il batterista sia fuori tempo. Quanta ingenuità, e soprattutto, quanta delusione se poi riescono a cogliere (capita di rado) il punto in cui il batterista recupera il giro perfettamente in linea al suo bassista (ho usato il maschile per gli esempi qua sopra ma è perfettamente intercambiabile col femmilie se vi aggrada). 

Wow, che bella cavalcata fino a qui, non trovate?

Ma allora, giustamente vi chiederete, perchè diamine utilizzi l’analogico?

Semplice, sono un paraculo. 


Con Affetto,


lundesnombreux



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