La fotografia non esiste (Editoriale Patient Wolves TRES, Settembre 2021)



Immaginate un meriggio di maggio. Entrate in Triennale a Milano, salite al piano di sopra percorrendo la lunga scalinata, entrate in sala conferenze. Vi accomodate sulla sedia, vi guardate attorno: visi, sorrisi, qualche macchina fotografica al collo, zainetti ai piedi della sedia, qualche chioma blu che spicca.

Cominciamo.


Nella sua, relativamente recente, lectio magistralis Efrem Raimondi, sostiene che la fotografia non esiste. Cito: “La fotografia è subordinata alla percezione che - poi - l’autore [...] traduce in immagini. In questo senso la fotografia non esiste, perché privata della presenza dell’autore non ha alcuna esistenza, non esiste”. Appunto. Questa, che lui stesso definisce, con l’eleganza che lo contraddistingue, una opinione, è preceduta da un’altra affermazione. Cito: “La fotografia è un contenuto che, in qualche modo, non può essere estraneo alla forma”. 

E. ci mostra i due lati della medaglia. La forma, per nulla avulsa dal contenuto, e il contenuto stesso che l’intento autoriale genera. I due elementi permettono alla fotografia di esistere.


Con Giovanni Gastel, allora presidente dell’AFIP, al suo fianco, va avanti per circa un'ora e mezzo a fornire contenuti che, a distanza di anni, ci danno sempre nuovo ossigeno, ma già nei primi minuti della lectio E. mette sul tavolo abbondante cibo per i nostri denti di lupo.

E. distingue fra fotografia e fotografie. Queste ultime, senza volerne sminuire l’importanza, sembrano essere prive di due ingredienti tutt’altro che marginali: l’intento autoriale e un linguaggio consolidato. Mentre nella fotografia, questi elementi persistono e resistono ai tentativi esterni di annichilimento. Proviamo a fare un po’ di ordine andando a ritroso.

Partiamo dal linguaggio consolidato.

“La tecnica è una cosa molto importante”, dice E., “senza dizionario non vai da nessuna parte, senza grammatica non vai da nessuna parte, si tratta, poi, di lavorarci con la grammatica”. D’altro canto “la fotografia è ambigua, non esiste una fotografia perfetta” e “il linguaggio è per natura imperfetto”.

Apparentemente non sembra esserci soluzione. Che possibilità abbiamo dunque di tendere, se non giungere, ad un intento autoriale e, quindi, alla fotografia?

E. ci dice che: “È attraverso l'imperfezione che noi costruiamo il nostro linguaggio. Lo stile è sull'errore.” Il suo consiglio è di rivolgerci alla nostra ingenuità: “Se hai una chance è questa, essere te stesso”.


La via per l’autorialità è la tua, è tracciata e necessita di coraggio. In una fotografia che “non ha genere” la nostra ingenuità si proietta sul soggetto e insieme a questo torna alla pellicola. Con onestà intellettuale dobbiamo ammettere che il vero soggetto è l’autore. Consapevoli di ciò iniziamo a comunicare usando il nostro linguaggio imperfetto. Ed eccoci dunque, per la terza volta, coi nostri errori e il nostro linguaggio imperfetto, la nostra grammatica e il nostro dizionario.

Li offriamo a voi, contenuto e forma, poiché il vostro sguardo li arricchisce e ci rende Patient Wolves.

All’inizio di quest'anno Efrem Raimondi e Giovanni Gastel ci hanno lasciati. Rivedere la Lectio del sette maggio duemilaquindici mi dà sempre un senso di serenità e pace. Vederli l’uno a fianco dell’altro, ascoltarli, è un atto culturale che mancherà a molti.

Non sono titolato a parlare di queste mancanze, ma desidero fortemente che i contenuti di persone come loro possano essere accarezzati e preservati a lungo nelle nostre parole e immagini.

lundesnombreux

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